Cerca nel blog

giovedì 16 gennaio 2014

Meno male che ho studiato Fisica

Un fisico, si sa, uscito dall'Università non sa fare nulla. Non viene infatti formato affinché sappia svolgere un lavoro preciso, come un ingegnere edile, ad esempio, che dovrebbe saper progettare una casa. Il neo-laureato in fisica non sa fare niente di preciso, ma è formato per essere in grado di interpretare i dati a sua disposizione alla luce di un modello logico-matematico consistente.

In un esperimento di fisica si eseguono misure. Se queste misure risultano non conformi alle attese, si deve capire l'origine di questa discrepanza. È ovvio che non esiste una "ricetta" per fare questo. Si deve essere capaci di valutare i dati a disposizione alla luce delle informazioni che si possiedono o perché acquisite nel passato o perché, in seguito alle osservazioni, si è deciso di fare altre misure.

In questi giorni sono in arrivo le lettere con le quali l'AMA, la municipalizzata che a Roma cura la raccolta rifiuti, comunica agli utenti l'importo della famigerata TARES. Non voglio qui discutere l'opportunità di questa tassa (e ce ne sarebbe motivo), ma la comunicazione. Il sito del Comune di Roma e quello dell'AMA (http://www.amaroma.it/media/news/2384-tares-in-arrivo-ultime-250mila-comunicazioni-pagamenti-senza-interessi-di-mora-fino-al-24-gennaio.html) spiegano che gli utenti riceveranno un bollettino MAV e un modulo F24 (e già ci sarebbe da ridire sull'opportunità di esigere due pagamenti invece di uno). Io non l'ho ancora riceviti. Sul sito dell'AMA si scopre che entrambi si possono scaricare cliccando sull'opportuna sezione dello stesso.

Facendo click sulla sezione indicata compare un elemento grafico simile a un "post-it" che reca la scritta "Pagamento bollettino Tares s F24". Cliccando sul post-it si spererebbe di arrivare direttamente alla pagina dalla quale scaricare i due famigerati documenti, ma neanche per sogno: si atterra su una pagina sulla quale compare un menu che non ha apparentemente nulla a che fare con tutto ciò. Armato di pazienza comincio a navigare tra le voci. Clicco su "gestisci il tuo contratto".

Benché estraneo alla materia clicco sul pulsante "Visualizzazione contratto" e osservo che in fondo si trova un pulsantino con scritto "Lista Bollette". Lo clicco e compare un elenco di documenti, d'importo non piccolo. Il documento più recente però vale solo 25 euro. Dev'essere quello.

Lo clicco e scarico un file PDF (due volte: la prima il file non si apre). In effetti è lui. Alla prima pagina è riportata la fattura con il dettaglio: 18 euro per una componente e 7 per l'altra. Alla pagina successiva c'è l'F24 da 18 euro. Non vedo il bollettino MAV da 7. Forse sono stato troppo veloce. Riguardo per bene il documento, ma proprio non riesco a trovarlo.

Comincio a cercare informazioni. Su tutti i siti (AMA, Comune di Roma, quotidiani, etc.) è scritto che i pagamenti dovuti sono due: un bollettino e un F24. Forse che sotto una certa soglia non si paga? Quest'informazione non è riportata da nessuno. Sto per arrendermi: sarò costretto a telefonare al Call Center dell'AMA per chiedere cosa devo fare (perdendo almeno un'ora del mio tempo).

Ma ecco che, cliccando a caso sui link prodotti da Google nella disperata ricerca delle informazioni (avendo ormai perso ogni speranza di trovare razionalmente un qualche tipo d'informazione), m'imbatto nella pagina all'indirizzo http://www.amaroma.it/public/files/nuova-tari/Leaflet_Tares_041213_web.pdf, che riporta il contenuto di un volantino informativo in distribuzione chissà dove.

All'ultima pagina, nella sezione "Come si paga", il volantino recita: "Servizi indivisibili tramite modulo F24 in allegato" e "Tassa rifiuti: bollettino MAV o RID". RID? Ma in nessun altro posto è scritto RID. Che significa RID? Significa che si può pagare attraverso la domiciliazione bancario. Io, in effetti, pago le fatture ordinarie dell'AMA attraverso questo canale. Ecco perché! Collego le informazioni in mio possesso: io pago la tassa sui rifiuti con la domiciliazione bancaria; l'AMA esige un ulteriore pagamento (di 7 euro, si badi bene); evidentemente, sapendo che io pago attraverso la domiciliazione bancaria non emette un bollettino MAV, come dice a tutti, ma si prende i 7 euro direttamente dalla mia banca, attraverso lo stesso meccanismo con il quale si prende i restanti 250 euro circa. Non è che pensa a dirmelo. Noooo. Sarebbe troppo. E non pensa che come me ci sono altre persone che magari non sono fisici e non riescono a fare quel che ho fatto io. E poi, scrivere chiaramente sul sito che chi ha la domiciliazione bancaria non deve aspettarsi il MAV costa troppo? Ammesso che qualcuno riesca a trovare il volantino in questione, quanti sapranno cosa vuol dire RID? Penso ai tanti miei vicini, spesso anziani.

E quelli che scrivono sui giornali? Possibile che nessuno tra costoro si sia trovato nella mia stessa condizione? Possibile che non venga in mente a nessuno di dire chiaramente e semplicemente questo? Sono certo che al Call Center dell'AMA siano arrivate decine, centinaia di telefonate di richiesta di chiarimento su questo punto. Possibile che nessuno l'abbia segnalato? Ma quale ripresa economica possiamo attenderci in queste condizioni?

Sempre più sconfortato...

domenica 22 dicembre 2013

Spending Review

Pochi giorni fa ho ricevuto un "accertamento" da Aequaroma, la società che per il Comune di Roma cura la riscossione dei tributi. Nell'"accertamento", i solerti funzionari della società hanno tenuto a sottolineare che il sottoscritto veniva pesantemente multato (fino al 100% dell'importo evaso negli ultimi 5 anni) perché aveva reso "dichiarazione infedele" relativamente alla superficie dell'appartamento di proprietà da assoggettare alla Ta.Ri. (la tariffa rifiuti). In conseguenza della mia "infedele dichiarazione" il funzionario responsabile mi "irroga" una sanzione pari a euro 1181.36, da sommare, evidentemente, all'importo illecitamente sottratto alle casse del Comune, cui vanno aggiunti i dovuti interessi, per un importo totale di 2443.96 euro!

Dall'attenta lettura del burocratese della notifica (diverse pagine inutilmente piene di "Visto", "Considerato", "Atteso", etc.) apprendo di vivere, secondo quanto "accertato", in un appartamento di 130 mq! E pensare che avevo sempre pensato di stare in una casa troppo piccola! In effetti, rispetto ai 60 mq da me dichiarati, c'è una bella differenza!

Così apro la pagina di Google e cerco uno dei tanti servizi catastali online. In effetti quando ho dichiarato 60 mq mi sono limitato a confermare la superficie già dichiarata dal precedente occupante. Ne scelgo uno, pago 12,50 euro e ottengo, nel giro di 10 minuti, la planimetria del mio appartamento, così come risulta in catasto. Da buon fisico prendo un righello e in pochi minuti ottengo la superficie effettiva del mio appartamento. Sono proprio 60 mq, come io effettivamente avevo dichiarato. Ma nel cercare informazioni su cosa fare scopro, sul sito dell'AMA (la municipalizzata che cura la raccolta rifiuti), che la superficie da assoggettare a Ta.Ri. è solo quella coperta. Vanno esclusi cioè i balconi. Se sottraggo la superficie dei balconi la superficie assoggettabile è addirittura inferiore a quella da me dichiarata (poco male perché apprendo ugualmente che devono però essere incluse le pertinenze - garage e cantine - che non avevo incluso per cui il totale fa 62).

La domanda è: ma come hanno "accertato" che avevo reso "infedele dichiarazione"? A me sono bastati 10 minuti e pochi euro per accedere ai dati registrati in catasto e verificare che la superficie della casa in cui abito non è difforme da quanto dichiarato. Loro come hanno fatto? Viene il sospetto che diano numeri a caso. Qual è il risultato di tutto questo? Che è stato fatto un lavoro di "accertamento" inutile, che però produce carta (altrettanto inutile) che deve essere spedita (inutilmente) all'indirizzo del presunto evasore. Il quale deve a sua volta spendere inutilmente denaro per dimostrare che tale non è. Aequaroma dovrà impegnare inutilmente il suo personale a controllare quanto dichiarato dal presunto evasore e a rivedere, se sarà il caso, le proprie decisioni. Dal momento che si accerterà che ho ragione, dovranno fare istanza di rettifica (altre inutili carte, altri timbri, altro personale inutilmente coinvolto, altro tempo perso) e tutti avranno perso qualcosa (tempo e denaro, per non parlare della salute).

Se invece di pagare gli stipendi di funzionari pagati per pescare cittadini a caso e far finta di aver fatto un accertamento (perché questo credo succeda) dal quale risulta una superficie maggiore di quella dichiarata si pagasse una borsa a un laureando in informatica, questi potrebbe nel giro di poche settimane metterli in contatto diretto con la banca dati del catasto e incrociare i dati della Ta.Ri. con quelli del catasto (e magari di altre entità). Acquisendo le mappe online non sarebbe difficile calcolare automaticamente le superfici da assoggettare a tariffa e invece di attendere che sia il contribuente a calcolarla, potrebbe essere il Comune a indicarne l'importo sulla base di quanto risulta presso il catasto. Se a me sono occorsi 10 minuti per dimostrare la palese assurdità dell'"accertamento", con un sistema del genere basterebbero pochi secondi non solo per evitare inutili spese e inutili carte, ma anche per scovare i veri evasori.

Gli abitanti di Roma sono quasi 3 milioni. La Ta.Ri. la pagano le famiglie (e le imprese, ma limitiamoci per ora solo alla Ta.Ri. domestica), composte mediamente da 2.5 persone, perciò sarebbero da controllare 1 milione e 200.000 posizioni. Considerato che con un sistema di interrogazione automatica non serve sicuramente più di 1 secondo per eseguire tutte le operazioni del caso, occorrono poco più di 330 ore di CPU: due settimane di lavoro per un singolo PC, con un solo core di calcolo, come ormai si trovano solo al museo. Insomma, basterebbe un'inezia per far sì che, in pochi giorni, si ponga fine alla piaga dell'evasione contributiva in questo settore, alle cartelle pazze che ne conseguono e ai mal di testa dei contribuenti che devono leggersi manuali di decine di pagine scritte in oscuro burocratese per capire quanto devono versare.

Lo so: sembra facile! Ma il bello è che lo è! E se non fossimo il Paese governato da gente che di questi problemi non se è mai dovuto curare perché ci pensa qualcun altro al loro posto, forse potremmo cominciare a essere un Paese semplicemente normale.

lunedì 17 giugno 2013

Ridurre l'evasione...

...e contemporaneamente rilanciare i consumi, semplificando enormemente gli adempimenti fiscali. Sembra impossibile, ma secondo me si può. Premetto che l'analisi che sto per fare è sicuramente semplicistica e ci sono troppi dettagli trascurati, ma quel che conta, come sempre, sono gli ordini di grandezza, e questi ci dovrebbero essere.

Partiamo, come sempre, da qualche dato (che per l'occasione ho preso da una notizia su Repubblica che riportava dati forniti dall'Agenzia delle Entrate). Il reddito medio di un lavoratore dipendente è stato, nel 2011, di 19810 euro. Quello di un lavoratore autonomo 41320 (per lavoratore autonomo s'intende un "professionista che presta la propria opera a un cliente obbligandosi di volta in volta secondo i casi", come un avvocato, un dentista, un idraulico, un elettricista, un muratore, etc. Non un commerciante o un industriale, per intenderci).

Per non fare la solita demagogia, osservo subito che anche i dipendenti possono evadere, se fanno un secondo lavoro in nero o se fanno un accordo sottobanco con il datore di lavoro. Per questo nel nostro schema le classi "lavoratore autonomo" e "lavoratore dipendente" non stanno a rappresentare le categorie cui si riferiscono nei fatti, ma a persone che, rispettivamente, hanno la possibilità di nascondere una parte degli introiti al fisco oppure che, al contrario, non ce l'hanno.

La normativa sull'IRPEF è complessa. Semplificando, gli autonomi possono detrarre dal reddito 4800 euro. Sul rimanente pagano il 23 % fino a 15000 euro. Oltre i 15000 euro e fino ai 28000 si paga il 27 %. Sui redditi compresi tra 28000 e 55000 euro, invece, si paga il 38%. Calcoliamo l'imposta dovuta dal nostro autonomo. Dai 41000 euro circa togliamo 4800, quindi il cosiddetto reddito imponibile è di 36200 euro. Sui primi 15000 il lavoratore paga il 23 %, pari a 3450 euro. Sul reddito compreso tra 15000 e 28000, pari a 28000-15000=13000 euro, paga 3510 euro (il 27 %), mentre sul resto (36200-28000=8200 euro), si paga il 38 %, pari a 3116 euro. Complessivamente le tasse dovute dall'autonomo ammontano a 3450+3510+3116=10076 euro. Di fatto l'incasso reale del professionista è pari a circa 31000 euro.

Il lavoratore dipendente può detrarre 8000 euro dal suo reddito. L'imponibile quindi è di 11810 euro, su cui paga il 23 %, perché inferiore a 15000 euro: 2716 euro. In pratica la busta paga del dipendente sarà di (19810-2716)/12=1424 euro. Al dipendente restano in tasca 19810-2716=17094 euro e all'autonomo 31244. Lo Stato incassa 12792 euro, pari al 21 % del reddito complessivo prodotto dai due lavoratori (che possiamo assimilare al PIL).

Il dipendente non ha alcun vantaggio nel chiedere all'autonomo di documentare eventuali spese e l'autonomo, a maggior ragione, cerca di evitarlo perché su quel denaro paga un mucchio di soldi in tasse. Non avendo alcun vantaggio dalla spesa, il dipendente cerca anche di evitarla, provocando una contrazione dell'economia.

Se invece il dipendente potesse detrarre tutto quello che paga dal reddito avrebbe interesse a spendere. Proviamo a costruire un modello in cui l'imponibile è costituito da ciò che non si spende (ricordiamo che la quantità di denaro circolante è costante - o quasi - e quindi possiamo sempre assumere che in un anno uno dei due abbia speso e l'altro abbia solo guadagnato). In questo modello, se il dipendente spende 13000 euro all'anno dovrebbe avere un imponibile di 20000-13000=7000 euro (approssimando a 20000 euro il suo reddito per fare cifra tonda). L'autonomo, invece, avendo incassato i 13000 euro dal dipendente, avrà un imponibile di 41000+13000=54000 euro. La cifra complessiva è sempre la stessa: 54000+7000=20000+41000=61000. Se vogliamo che lo Stato incassi sempre dell'ordine dei 13000 euro dobbiamo applicare un'aliquota pari a 13000/61000=21% (come prima, evidentemente).

A questo punto il dipendente pagherebbe 7000 ⨉ 0.21=1470 euro di tasse (circa 1500). Quindi dal suo datore di lavoro, l'anno successivo, dovrebbe ricevere uno stipendio netto pari a (20000-1500)/12=1542 euro al mese. Il dipendente così dispone di più di 100 euro in più da spendere, ed è quindi invogliato a farlo (anche perché piú spende e meno paga di tasse). L'autonomo, dal canto suo, dovrebbe invece pagare 54000 ⨉ 0.21 = 11340 euro (diciamo 11000 per semplicità). Gli restano dunque 54000-11000=43000 euro (contro i 31000+5000=36000 che gli sarebbero rimasti non dichiarando il reddito reale).

Sembra impossibile, eppure lasciando invariato l'incasso per lo Stato sarebbero tutti più contenti. L'autonomo pagherebbe meno (perché costretto a pagare il dovuto) e il dipendente prenderebbe uno stipendio più alto. Naturalmente le cifre complessive sono sempre le stesse: le tasse sui 5000 euro non pagate dal dipendente sono pagate dall'autonomo. Il fatto è che la detrazione di 8000 euro per i dipendenti e di poco meno di 5000 euro per gli autonomi è del tutto irragionevole! In realtà ciascuno spende molto di piú, perciò alla fine in tasca resta molto meno di quanto resti effettivamente sulla carta.

Ciò non toglie che, oltre a essere piú equo, questo sistema rende tutti piú contenti.

Inoltre, con questo meccanismo il dipendente ha interesse a spendere i suoi soldi, perché quello che spende in beni e servizi non lo paga di tasse. Lo Stato non ci perde se il dipendente spende in Italia, perché recupera dalla controparte i soldi che il dipendente non ha versato. Questo è un bene perché incentiva il dipendente a spendere i suoi soldi in Italia, contribuendo all'economia, sopra tutto alla domanda interna (perché è chiaro che il meccanismo funziona se tutti pagano le tasse nello stesso Paese). È ovvio quindi che occorre introdurre meccanismi correttivi per i casi particolari (acquisto di materie prime e prodotti dall'estero, etc.), ma come dicevamo all'inizio quel che conta sono gli ordini di grandezza. Uno Stato dovrebbe essere in grado di calcolare esattamente le aliquote da applicare e i meccanismi correttivi da apportare una volta deciso il sistema.

Ma come si fa dal punto di vista burocratico? Mica possiamo pretendere che tutti conservino migliaia di scontrini, fatture e loro parenti e facciano le somme una volta l'anno! Semplice: basta fare una regola secondo cui sono ammesse alla detrazione le spese sostenute in modo tracciabile: bonifico, assegno, carta di credito. Se vado al supermercato e pago con carta di credito, l'importo lo posso detrarre allegando come prova l'estratto conto della carta di credito (non centinaia di scontrini). Se viene l'idraulico e lo pago con carta di credito, idem. Lo stesso vale se pago il taxi, le bollette, i biglietti del cinema con lo stesso metodo. Al massimo devo conservare 12 fogli (uno per mese) per mezzo di pagamento. Potrei persino obbligare le banche a emettere, a fine anno, un documento con la certificazione delle spese effettuate con questi metodi nei confronti di soggetti residenti in Italia.

In questo modo la burocrazia è praticamente azzerata, lo Stato non ci perde nulla, tutti pagano meno tasse e nessuno (o quasi) evade il fisco.

domenica 16 giugno 2013

La spesa pubblica e la pressione fiscale

I dipendenti pubblici in Italia sono, secondo un rapporto di Forum PA del 2013, circa 3 milioni e 300.000, corrispondenti al 15% degli occupati totali. Secondo questo stesso rapporto la spesa per i dipendenti pubblici ammonta all'11% del PIL. Il PIL italiano ammonta a circa 1800 miliardi di euro. L'11% di questa cifra ammonta a 198 miliardi di euro. Dividendo questa cifra per il numero di dipendenti si trova che la spesa media per dipendenti è di 60000 euro l'anno (lordi, naturalmente).

Questo numero già appare poco coerente. A meno di non aver male interpretato la voce relativa alla spesa per i dipendenti della pubblica amministrazione del rapporto (forse che, oltre allo stipendio, si conta in quella voce anche qualcos'altro?), dal momento che lo stipendio medio dei dipendenti in Italia si aggira sui 20000 euro lordi annui, sembrerebbe che ci sia uno squilibrio di almeno un fattore 3. Anche a voler ammettere che le statistiche siano viziate, non è difficile capire che lo stipendio medio di un dipendente non può superare i 25-30000 euro lordi all'anno. A meno che i dipendenti pubblici che guadagnano tanto (i dirigenti) non siano troppi! Decisamente troppi! Del resto è ben noto che l'Italia è piena di dirigenti che dirigono sé stessi.

Poiché la pressione fiscale nel Paese è di quasi il 43%, questo significa che lo Stato incassa ogni anno circa 774 miliardi di euro. Di questi ne spende meno di 200 per pagare i dipendenti, perciò dovrebbero restarne almeno 570 (quasi 600, dunque).

La domanda è: dove finiscono tutti questi soldi? È evidente che la spesa pubblica non è fatta solo di stipendi. Ma come abbiamo visto nella cifra che abbiamo calcolato c'è già un fattore 2-3 d'incertezza per cui si potrebbe pensare che almeno in parte la cifra di 200 miliardi dovrebbe includere alcune spese per il funzionamento (affitti, riscaldamento, consumi, manutenzione, etc.). Se tuttavia assumiamo altri 200 miliardi da spendere per il funzionamento generale, restano comunque quasi 400 miliardi la cui destinazione è quanto meno difficile da immaginare.

Ovviamente una buona parte di questi soldi dovrebbe servire a ridurre il debito che però non si riduce (anzi, aumenta), quindi non si può invocare questa voce per spiegare la pressione fiscale così alta. Così, a prima vista, sembrerebbe relativamente semplice procedere a una riduzione sostanziosa della pressione fiscale, almeno nell'ordine del 10-15%, che si tradurrebbe in un risparmio compreso tra i 180 e i 270 miliardi di euro.

Nonostante questo l'abolizione dell'IMU prima casa (4 miliardi) o l'aumento dell'IVA (altrettanto) sembrano mete lontanissime. Qualcuno sa spiegarmi il perché? Qualcuno ci spiega dove finiscono tutti i soldi che paghiamo?

giovedì 12 luglio 2012

Arrestato un imprenditore per truffa

Il 12 luglio 2012 Gian Mario Rossignolo, titolare della De Tomaso, è stato arrestato per truffa ai danni dello Stato. Secondo l'accusa avrebbe percepito 7 milioni e mezzo di euro per corsi di formazione mai erogati. A questi si aggiungerebbero altri 7 milioni di euro erogati dalle Regioni. Ai corsi avrebbero dovuto partecipare circa 1000 dipendenti per tre anni.

Dunque pare che il Sig. Rossignolo sia stato il destinatario di un finanziamento di ben 13.5 milioni di euro per corsi da erogare a 1000 persone in tre anni. Vale a dire che il piano di formazione è stato valutato costare circa 4500 euro/dipendente/anno.

Vale la pena ricordare che il budget del Ministero dell'Istruzione è di poco più di 40 miliardi di euro, per un formare grosso modo 7 milioni di studenti che frequentano le scuole statali. Uno studente, dunque, costa allo Stato meno di 6000 euro l'anno. In questa cifra sono comprese tutte le spese: personale (educatori, professori, personale ATA, etc.), funzionamento (elettricità, riscaldamento, materiale di consumo, etc.) e edilizia (anche se in misura quasi trascurabile).

Da un rapido confronto si vede che ciascun dipendente del Sig. Rossignolo sarebbe costato allo Stato una cifra molto simile a quella che spende per uno studente. Peccato che uno studente è tale a tempo pieno, mentre dubito che i dipendenti di una fabbrica come la De Tomaso possano sedere tra i banchi per più di poche ore in un anno.

Se ne conclude che ogni dipendente della De Tomaso, se i corsi fossero stati erogati, sarebbe costato alle nostre tasche ben più di quanto ci costa istruire i nostri figli. Credo che un fattore 10 di differenza possa essere considerato ottimistico.

Chi è responsabile di tutto questo? Rossignolo? No, naturalmente. Lui è responsabile, semmai, di non aver usato il denaro ricevuto per lo scopo dichiarato! Sono i politici che emanano leggi che consentono agli imprenditori di usare così i nostri soldi, a esserne responsabili.

Il nostro Governo dice che sta predisponendo i tagli anti-sprechi, conseguenti alla così detta "spending review". In realtà sta facendo un'operazione molto semplice: sottrae dal budget dei Ministeri la spesa incomprimibile (gli stipendi) e taglia il resto! Non sta assolutamente affrontando il nodo dello spreco. Come vogliamo chiamarlo questo? Non è uno spreco vergognoso quello che consiste nell'erogare 13 (fossero anche solo 7) milioni di euro per corsi di formazione per i 1000 dipendenti di una fabbrica? E che dobbiamo formare? Astronauti?

venerdì 8 giugno 2012

Innovare per risparmiare e crescere

Secondo il nostro Governo la contrazione della spesa pubblica dovrebbe conciliarsi con una crescita del PIL del Paese. A me pare francamente molto difficile che questo avvenga, sopra tutto in tempi brevi, specialmente se si guarda all'obiettivo dichiarato: ridurre la spesa corrente. In realtà, se puntiamo al secondo obiettivo (la crescita), il primo potrebbe venire da sé. Disporre di un'Amministrazione efficiente non consente solo un risparmio in termini monetari, ma potrebbe portare con sé enormi vantaggi per la collettività, di varia natura.

Per spiegarlo mi avvarrò di un'esperienza del tutto personale. Ho chiesto e ottenuto (dopo 20 giorni) copia della mia cartella clinica all'Ospedale S. Camillo, sove sono stato ricoverato per un problema di salute. Nella cartella non ho trovato i dati relativi a un esame di Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) cui ero stato sottoposto. Interpellato su tale mancanza, l'archivio clinico mi ha spiegato che avrei dovuto farne esplicita richiesta all'archivio radiologico. Se solo me l'avessero detto, naturalmente l'avrei fatto. A questo punto mi sono armato di pazienza e ho seguito le istruzioni.

Come funziona.
Riporto testualmente le istruzioni presenti sul sito dell'"Azienza" S. Camillo-Forlanini:

IL cittadino dovrà:
1. recarsi presso l'Archivio Radiologico [...], dove farà richiesta della documentazione; successivamente
2. recarsi all'Archivio Clinico Aziendale [...] con la modulistica compilata per il pagamento degli oneri dovuti.
Effettuato il pagamento l'Archivio Clinico Aziendale provvederà a trasmettere all'Archivio Radiologico, via fax o per posta ordinaria, le copie delle quietanze.
Il cittadino potrà ritirare la copia della propria documentazione dopo 5 giorni lavorativi presso l'Archivio Radiologico.

Ho omesso le porzioni irrilevanti (orari, etc.). Dunque mi prendo mezza giornata di lavoro e vado al S. Camillo a fare la mia richiesta. Un'impiegata consulta un computer dove evidentemente trova tutti i miei dati in una frazione di secondo. Invece di, non dico produrre immediatamente la documentazione, ma almeno stampare la richiesta precompilata, prende un modulo cartaceo che riempie a mano con i dati letti dallo schermo del computer. Poiché ha bisogno, evidentemente, di una copia, sotto il modulo ne piazza un altro frapponendo tra essi della carta copiativa (che pensavo non esistesse piú). Con il foglio cosí compilato dalla signora, mi reco all'Archivio Clinico, sito in un diverso ospedale: il Forlanini. Lí faccio la fila (breve, per fortuna) per fare la mia richiesta, ma quando vado allo sportello l'impiegato mi fa notare che devo fare la fila per "ritirare", non per "richiedere". Io naturalmente non devo ritirare niente, ma mi adeguo. Faccio un'altra fila (anch'essa breve, per fortuna) e vado a "ritirare", che consiste nel versare euro 9.50 all'impiegata per coprire il costo del CD con le immagini radiografiche che potrò ritirare tra 5 giorni presso l'Archivio Radiologico. A fronte del pagamento l'impiegata mi rilascia ricevuta (scritta a mano e spillata su una fotocopia, fatta al momento, del modulo di richiesta (ma non potevano farne tre copie, allora?). Quest'ufficio invierà la ricevuta (cito testualmente) "via fax o per posta ordinaria" al S. Camillo. Per fax o posta ordinaria? Per chi non lo sapesse il S. Camillo si trova sull'altro lato della strada sulla quale si trova il Forlanini. Tra cinque giorni prenderò un'altra mezza giornata per andare a ritirare il CD.

Credo che ogni ulteriore commento sia superfluo.

Come potrebbe funzionare.
Un esame RMN produce per costruzione immagini di natura elettronica, che sono automaticamente immagazzinate in un archivio informatico, senza alcun bisogno di stampa. Al momento della dimissione potrei ricevere un codice univoco usando il quale potrei fare richiesta della documentazione via web. Potrei pagare gli oneri dovuti con carta di credito, senza dover usare un mezzo per andare fisicamente in un posto (risparmio benzina, non contribuiscono al traffico e alle emissioni nocive), senza perdere mezza giornata di lavoro (evitando di ridurre il mio contributo al PIL nazionale e al mio conto personale), senza bisogno di un impiegato che mi riceva (evitando di pagare uno stipendio, o meglio facendo fare qualcosa di piú utile a quella persona) e senza far circolare denaro contante (riducendo gli oneri per la sua produzione e l'inquinamento conseguente). Una volta pagato potrei ricevere la documentazione in formato elettronico in una casella di posta elettronica o, se è cospicua, il link dal quale poterla scaricare nel formato piú idoneo (senza bisogno di tornare una seconda volta per ritirare il tutto, senza bisogno di stampare fisicamente un CD, che tra l'altro deve essere prodotto, trasportato presso il punto vendita, acquistato, con emissione di fatture, consegnato, con uso di carburante e personale, etc.,  senza usare fotocopiatrici). Potrei decidere di incidere il CD da me, a casa, oppure di scaricare il file sul mio tablet e recarmi dal mio medico per mostraglielo direttamente sullo schermo dello stesso. Oppure potrei girare il link al medico che potrebbe cosí accedere direttamente ai dati online.

Per realizzare tutto questo occorre un investimento iniziale che però, nel tempo, consente cospicui risparmi, come detto, non solo in termini monetari. Quanto PIL viene sottratto ogni giorno dalla necessità di recarsi presso un qualche ufficio pubblico? Quanta carta, inchiostro, tempo viene sprecato per le pratiche burocratiche? Quanti mezzi s'impiegano per movimentare questo materiale? Quanta burocrazia aggiuntiva si genera per fatturare, pagare, immagazzinare? Quante persone sono impiegate in mansioni inutili e poco gratificanti, quando ci sarebbe bisogno di piú personale per assistere il pubblico? Si noti che in molti casi il personale che riceve i pazienti al solo fine di espletare una pratica burocratica è personale infermieristico, quando non medico!

Perché tutto questo è fantascienza per i nostri amministratori (che ho scritto volutamente con la "a" minuscola), quando non lo è in molti altri casi? Perché, ad esempio, posso giocare al Bingo online, e non posso pagare le imposte allo stesso modo?

Forse, quando qualcuno saprà darci una risposta non ci sarà piú bisogno di fare la domanda.

sabato 21 gennaio 2012

Liberalizzazioni

Non è ancora dato di conoscere i reali contenuti del nuovo decreto del Governo in tema di liberalizzazioni. Sono disponibili solo le anticipazioni dei giornali, ma nulla di ufficiale è ancora stato pubblicato sul sito del Governo. Possiamo perciò solo fare considerazioni su questa base.

La fisica non è fatta solo di numeri; questi servono a formulare teorie coerenti con gli esperimenti e con le altre teorie accreditate e, fino a quel momento, non smentite. La coerenza delle leggi fisiche è un requisito fondamentale. Per questo mi permetto di discutere su questo blog il tema delle liberalizzazioni, anche senza il supporto dei numeri. Non solo mi pare in qualche modo attinente al tema, ma ritengo un mio preciso dovere di cittadino quello di intervenire su temi cosí importanti.

Cominciamo dalla "liberalizzazione" riguardante i benzinai. Sembra che i benzinai potranno vendere altri prodotti e che potranno tenere aperte le pompe di benzina automatiche senza vincoli di orario. A me paiono due misure sensate: la prima perché alcuni già lo fanno. Basta andare in una stazione di servizio autostradale per rendersi conto che è già cosí e non c'è ragione per la quale non debba essere cosí altrove. In effetti una ragione ci sarebbe: se viaggio in autostrada e ho bisogno di mangiare e bere non posso dover uscire per andare in un ristorante, mentre se sono in città questo problema non sussiste. Tuttavia può sussistere lungo una strada statale. Inoltre posso certamente aver bisogno di mangiare e bere, ma non esiste il bisogno impellente di comprare CD, pupazzi, riviste, etc.. In definitiva: se la vendita di beni di non primaria importanza è consentita all'uno, che sia consentita all'altro. Ai gestori autostradali però viene chiesto di mettere a disposizione un bagno per gli utenti e sarebbe bene che tale richiesta venga fatta anche ai gestori non autostradali che desiderino vendere materiale diverso dal carburante.

Per quanto riguarda gli orari, non c'è davvero alcuna ragione per cui una pompa automatica debba "riposarsi".

Veniamo a quello che non va. Pare che i titolari degli stabilimenti potranno rifornirsi, per il 50%, da fornitori diversi da quelli dei quali espongono il marchio. Questa norma è davvero incredibile! Premesso che, a quanto mi consta, praticamente nessuno acquista carburante in base alla marca dello stesso, la norma assume in tutto e per tutto i contorni di quella che si potrebbe chiamare una truffa in un altro contesto!

È come se, andando a comprare un pacco della vostra pasta preferita, poteste trovarci dentro metà della pasta dello stesso formato, ma di un altro produttore. Ripetete il gioco con vino, formaggio, dolci, automobili, elettronica, abiti, etc.. Vi sembra normale? In questi casi tutti griderebbero allo scandalo! Anzi, in tutto il mondo, non si sa perché, si chiama contraffazione anche ciò che contraffazione non è e solo per difendere gli interessi di qualcuno (non i diritti, gli interessi). Per esempio, se un produttore "imita" il prodotto di un concorrente, ma lo marca come suo, questo comportamento è considerato contraffazione. A mio modo di vedere la contraffazione ci sarebbe se il primo produttore mettesse in commercio prodotti simili a quelli del concorrente con il marchio del concorrente! Che è quello che oggi possono fare i benzinai. I produttori di biscotti, invece, non possono farlo. Per produrre un biscotto della stessa foggia di un concorrente, devono pagare delle "royalties": una specie di assurdo balzello del tipo di quello che chiedeva il casellante nel film di Benigni e Troisi "Non ci resta che piangere".

Che un gestore si rifornisca da chi gli pare, va bene, purché non pretenda di vendermi il carburante di una marca quando al suo posto me ne dè un'altra!

Viceversa, la vera liberalizzazione consisterebbe nello smetterla di considerare contraffazione ciò che non lo è. Qui si che si difendono i privilegi di qualcuno. Quelli di coloro che, avendo le spalle piú solide, si possono permettere di "registrare", di "brevettare" forme, sapori, odori, etc.. A danno di coloro che sanno fare le stesse cose, forse anche meglio, ma non hanno la forza economica per "proteggersi". Che sono la maggior parte. L'abolizione dei brevetti (se non proprio di tutti, almeno di quelli piú assurdi) sí che consentirebbe un'apertura dei mercati che potrebbe essere addirittura tumultuosa!

In definitiva, con questo decreto, il Governo autorizza la truffa nei confronti degli utenti e un'indebito arricchimento da parte dei (pochi) proprietari degli impianti, che non sono tenuti a dichiarare all'utenza che vendono carburante altrui, e che dunque possono praticare prezzi in linea con quelli degli altri. Bella liberalizzazione!