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martedì 6 luglio 2010

I ricercatori fannulloni

Titolano piú o meno cosí oggi i giornali, dopo la diffusione dei dati sulla produttività scientifica dei ricercatori e i commenti del Rettore della "Sapienza", Luigi Frati.

Anche in questo caso il titolo a effetto fa perdere il senso della misura. Innanzi tutto è opportuno chiarire che per "ricercatori", in questo caso, si intendono tutti coloro che svolgono attività di ricerca nelle Università. Si tratta di tre diverse categorie: Ricercatori, Professori Associati e Professori Ordinari (d'ora in poi scriverò con l'iniziale maiuscola il ruolo, mentre la funzione sarà indicata dall'iniziale minuscola).

I primi hanno il solo obbligo di svolgere attività di ricerca. Gli altri, invece, i Professori, sono tenuti a svolgere anche attività didattica secondo le norme stabilite dalla legge. Il titolo di professore, infatti, spetta a costoro proprio per questo motivo, cosí come spetta ai Ricercatori (e sono tanti) che svolgono attività didattica perché titolari di un contratto in tal senso (quasi sempre a titolo gratuito).

In questa accezione sono ricercatori (con la r minuscola) tutti: Ricercatori e Professori. Alcuni Professori svolgono anche altre mansioni: hanno funzioni direttive o di coordinamento.

Prima di prendere in esame i numeri, ci teniamo a dire che certamente dei fannulloni sono presenti tra i ricercatori, cosí come ce ne sono tra i medici, gli statali, gli operai, i preti, e persino tra gli imprenditori. Veniamo ora ad analizzare la misura. Il 10 % dei ricercatori è un fannullone. Da dove viene questo dato? Viene dal fatto che (finalmente) l'Università si è dotata di uno strumento informatico (sull'efficienza del quale ci sarebbe molto da dire) che permette di sapere quante pubblicazioni abbia prodotto ciascun ricercatore. Dall'analisi di questi dati emergerebbe che circa il 10 % dei ricercatori non ha pubblicato nulla negli ultimi tre anni. Che significa questo? Sicuramente che c'è una quota di veri fannulloni. Ma significa anche che il 90 % dei ricercatori ha invece prodotto qualche risultato scientificamente rilevante.

Per quanto riguarda il 10 % di cosiddetti fannulloni occorre ricordare che una parte di costoro non ha prodotto nulla di scientificamente rilevante, magari perché svolge altre funzioni (il Rettore, ad esempio, o i Presidi di Facoltà, i Direttori di Dipartimento, etc.). In altri casi possono esserci problemi di natura finanziaria: se non ci sono soldi per fare ricerca è molto difficile riuscire a pubblicare qualcosa. E in molti casi (anche se non sempre) non è facile cambiare l'obiettivo delle proprie ricerche aggregandosi ad altri gruppi, perché le risorse sono poche e quelli che le hanno sono restii a dividerle ulteriormente. Infine è doveroso considerare quei casi in cui la produttività in termini di pubblicazioni può subire forti contrazioni, che di solito portano a una produzione scientifica notevole al termine di un periodo di preparazione. Ad esempio, nel caso del sottoscritto, la preparazione di un esperimento può durare fino anche a dieci anni, durante i quali la produttività in termini di pubblicazioni è scarsissima, ma il lavoro che si fa è intenso. Al termine di questo periodo in genere si pubblica talmente tanto che, in media, si torna a possedere valori di produttività accettabili. Ma sulla scala dei tre anni (cui si riferiscono le statistiche in esame) le fluttuazioni possono essere ampie.

Per concludere: certamente nell'Università, come in tutti i posti di lavoro, vi sono eccellenze e fannulloni, ma se la percentuale di questi ultimi fosse anche del 10% non ci sarebbe affatto da gridare allo scandalo. Quello che stupisce, semmai, è che in un Paese allo sbando come il nostro, nel quale capita frequentemente che si ottenga un posto in un'Università grazie soltanto a conoscenze e parentele, il 90 % dei ricercatori sia ancora in grado di pubblicare articoli di una qualche rilevanza scientifica.